giovedì 26 novembre 2009

Un giorno di straordinaria follia

Mi devo sfogare: questo è un post in cui racconto fatti personali, se non siete interessati potete interrompere qui la lettura.
Come ormai è chiaro, da qualche tempo svolgo la professione di informatore medico scientifico. È un lavoro certamente più facile rispetto alla materia che tratto di quando ero dottorando, tuttavia presenta delle grosse differenze e difficoltà legate al contatto con il pubblico e con i medici.
La maggioranza della gente ha un'idea dello scienziato come di una specie di topo da laboratorio, un po' matto, un po' misantropo. Bene, io ero così. A questo punto potete anche immaginare quali sforzi io debba fare per riadattarmi ad un lavoro che prevede un continuo contatto con il pubblico, tra paturnie dei pazienti e medici con i loro scazzi. Non è una delle situazioni più facili in cui mettermi considerato il mio curriculum, però sto lavorando, tiro fuori un sorriso anche quando non vorrei, evito di dare rispostacce a gente che l'educazione non ha mai saputo cosa fosse e magari mi chiama "moscone" perché la mia sola presenza la infastidisce. Transeat. A volte situazioni imbarazzanti provengono dai medici. Uno magari mi dice che degli integratori, qualsiasi essi siano, non sa che farsene, un altro candidamente mi confessa che non è interessato ai prodotti, ma solo ai 5 minuti di tranquillità dai pazienti che posso garantirgli. In soli due mesi di lavoro ho visto e sentito cose che voi umani non potete immaginare della classe medica e ho visto anche cose belle che fortunatamente sono la maggior parte della mia esperienza. Medici cordiali, che mi offrono una sigaretta, mi raccontano i fatti loro come se fossi un amico, mi chiedono ulteriori informazioni sui prodotti, mi stringono la mano sorridenti alla fine della visita e mi dicono di ripassare quando voglio. Oggi è successo qualcosa che fa categoria a sé: premetto che se c'è una cosa che detesto visceralmente è la prepotenza.
È necessario risalire a ieri sera con il racconto perché è lì che ha avuto inizio. Erano le 19:10, tardi rispetto alla fine del giro dei medici che mi ero prefissato, e sono arrivato nello studio di uno oltre l'orario di apertura ufficiale al pubblico. In ambulatorio c'erano ancora molti pazienti, così ho aspettato all'incirca una mezz'ora in sala d'attesa fino a quando il dottore non si è affacciato e  ho colto l'occasione per chiedergli se poteva ricevermi oppure no. Il dottore mi ha detto che era tardi e che c'erano troppi pazienti e che era meglio per me tornare. Ho risposto che mi andava bene e che ci saremmo rivisti l'indomani. Tutto a posto apparentemente.
Stamani mi ripresento in quell'ambulatorio a metà mattina. È pieno di gente e c'è un altro informatore, inizio ad aspettare. Le persone scorrono con una lentezza biblica: 25-30 minuti per ognuna di loro. Nel frattempo nuovi pazienti si accumulano dietro di me. Ad un certo momento il medico esce, controlla chi c'è in sala e dice che dopo una ragazza, che era effettivamente l'ultima persona che dovevo aspettare per il mio turno, ci sono una signora e un signore, entrambi entrati dopo di me. Mi ignora. Io chiedo scusa, ma vorrei sapere a questo punto quando tocca a me: sono quasi due ore che mi trovo lì. Il dottore scatta e mi dice che "A casa sua decide lui", testuali parole, e che "io non gli piaccio perché sono venuto alle 20.00 del giorno prima e alle 12 di quel giorno" (falso, vabbe') e che "se continuo così non ci sarà feeling tra me e lui". Da rimanere basiti. Resto seduto, inghiotto sia la voglia di rispondergli lì di fronte ai pazienti sia l'impulso di andare via lasciando il piccolo dittatore nel suo meschino trionfo. Nessuno deve avergli spiegato che sebbene egli sia proprietario dello stabile dove tiene il suo ambulatorio, non gli appartengono le persone che sono lì né il loro tempo. Quantomeno non gli appartengo io. Decido che è arrivato il momento di colmare la lacuna.
Dopo essersi occupato della ragazza che legittimamente era prima di me, esce e mi invita ad entrare. Sto per dirgli il fatto suo, ma capisce l'antifona con uno scambio di sguardi e prima che possa iniziare mi "invita" a prendere le mie cose e ad andarmene. Io gli dico che non sa cosa sia il rispetto della professionalità altrui. Ritira fuori la frase "A casa mia faccio come mi pare", al che replico "È una casa davvero brutta". Minaccia di chiamare i carabinieri se non me ne vado(!!!) e mentre mi rivesto afferra le mie cose e le butta oltre la porta dello studio anche se gli intimo di non toccare la mia valigetta. Non contento mi afferra per un braccio ed incomincia a strattonarmi. Gli dico di tenere giù le mani, senza essere ascoltato. Tutto questo avviene tra le sue urla e gli sguardi attoniti dei pazienti. Raccolgo le mie cose da terra. Lui sbatte la porta da cui gli dico che è da mandare allo psichiatrico. Inferocito, riapre la porta mi raggiunge sulle scale e mi afferra per il bavero del giaccone. Deve aver visto questa scena in qualche film ed è convinto che è così che mi metterà a posto. Mi urla qualche insulto e mi dice che ora siamo solo "io e te". Appunto. Gli faccio notare che se non vuole che finisca davvero male per lui è meglio che mi tolga le mani di dosso. È qualche centimetro più alto di me, ma ha oltre cinquantanni e non sembra condurre uno stile di vita molto salutare. Molla la presa nell'unico sprazzo di lucidità che ha, ma continua con gli insulti. Mentre scendo le scale mi avverte di non tornare più. A questo punto gridargli "vaffanculo deficiente" è d'obbligo. Mi minaccia di venire a darmele e io gli faccio presente che potrebbe avere un incontro ravvicinato con la mia valigetta[¹]. Resta fermo al suo posto. Poi si incammina  verso il suo feudo di 40m², urlandomi insulti tra cui "informatore scientifico", ma anche io riesco a trovare il modo di fare assomigliare "medico di base" un qualcosa che sta a metà tra parassita e pezzo di merda. Cose che capitano. Degli informatori scientifici che vi "passano davanti" in ambulatorio sapevate già cosa pensare. Ora sapete cosa c'è a volte dietro la maschera del "buon medico di famiglia".

[1] La valigetta che uso ora non è quella semirigida in cuoio senza tracolla, ma quella in cordura imbottita. In pratica è offensiva come un cuscino di piume.